When Pink Turns To Blue – Massimo

I V A N O : T R U E M E M O R I E S

Uno degli ultimi romanzi che Ivano ha letto è stato Un amore di Dino Buzzati. Ricordo che me ne parlò a lungo l’ultima volta che siamo stati al mare insieme, in Liguria. E’ passato poco più di un anno. Ricordo come fosse ora. Me ne parlava tra le onde del mare e ancora in spiaggia, mentre con il suo coltello da cacciatore – quello col manico verde e arancione – affettava l’anguria. “Ma ti rendi conto Mimmo, Buzzati che chiede al papa il permesso di sposarsi… e il papa che gli risponde ok!” C’era la giovane donna del cocco che faceva lunghi passi sulla sabbia tra un asciugamano e l’altro urlando “un pezzo due euro, due pezzi tre euro”. A Ivano piacevano molto le donne così. “Mimmo, non vedi? Continua a passare di qui. Perchè non ci vai a parlare?” Mi faceva morire. Abbiamo parlato della proposta di lavoro che aveva ricevuto – dirigere un cinema a Genova – poi di come stava Lorenza. Scattò una foto di me sdraiato con il Gatorade di fianco e gliela mandò. Stavo preparando l’esame di Storia della musica e del pensiero musicale, gli mostrai la foto di Ferruccio Busoni e lui mi disse che un nipote del musicista aveva abitato al Villaggio dei Pini. Ivo aveva ascoltato la Sonatina seconda. Dei bagnini stavano gentilmente accompagnando un uomo piuttosto malmesso e il suo spaventoso cane fuori dalla spiaggia. L’uomo imprecava. Ivo disse che non faceva male a nessuno.

C’è un passo di Un amore di Buzzati che mi sembra parli di lui, di come vedeva le cose. Ora lo ricordo nella sua casa di Montevecchia alta, gli occhi chiari socchiusi rivolti all’immensa conca verde, al vasto orizzonte brianzolo che vedeva dal suo balcone, con una mano sulla ringhiera e l’altra a indicare trafelato il falco pellegrino che dalla lenta planata passa improvvisamente alla picchiata, disperdendo il nugolo di colombacci sottostante:

Tutto ciò che affascina nel mondo inanimato, i boschi le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore

Ivano era tutto questo. Ivano è stato disinteressato amore per il mondo, per tutto quel mondo che la sua vivissima intelligenza gli faceva bollire dentro. E’ un grande privilegio essere stato vicino a lui per tutti questi anni, aver visto le cose coi suoi occhi e sapere che lui le ha viste anche coi miei. Vivo nel meratese e tutte le volte che prendo l’auto finisco per vedere il santuario di Montevecchia e penso a Ivano. E’ uno dei luoghi più belli del territorio: è giusto che Ivano sia lì anche adesso. Lo vedo ancora con in mano la borsa della spesa, nella stradina di sampietrini che portava all’ingresso della sua casa vicino al comune, che con la mano libera strappa un fiore di lavanda e se lo spreme tra le dita per sentirne l’odore, o seduto sull’erba, tra gli alberi, con Mina, la sua gatta nera, acciambellata poco lontano. Lo vedo con la chitarra, vedo il suo pollice destro arcuato all’indietro a formare una virgola, a tenere il plettro insieme all’indice, vedo la polsiera di cuoio e il forte indice sinistro premuto sul ponte per il barrè; lo sento intonare con voce chiara un’antica canzone romana, lui, uomo antichissimo, per noi uomini antichissimi che abbiamo cantato insieme a lui.

Avevo sedici anni, Ivano diciassette. Lui, Francesco e Stefano mi hanno strappato dalle colonne della casa dei miei. Ivo mi ha letteralmente accompagnato nel mondo. Gli devo tutto. Seriamente. Ha garantito per me. Per lui andavo bene. Come as you are. Con lui non c’era da vergognarsi a dire cose intelligenti. Aveva una enorme pazienza con me. Lui stesso si definiva “cintura nera di discussioni con Mimmo”. Ivano amava le persone, andava verso le persone, non era mai così contento come quando poteva stare con altre persone, con amici, ma anche con chiunque incrociasse il suo passo, il suo sguardo, i suoi discorsi. Parlava con tutti, soprattutto con cassiere, commesse, lattaie, gelataie, bigliettaie degli autoscontri, amiche di scuola… Ecco, quello che mi mette ancora l’adrenalina della gratitudine pensando a Ivano è questo: la sua voglia si stare insieme, di uscire, di non perdere tempo nella brianzolitudine è qualcosa che non dimenticherò mai. Ma per rompere il guscio solitudinario e lavoristico delle nostre zone occorreva un maglio delicatissimo, e Ivano lo aveva trovato: la musica. Prima di conoscere Ivano non sapevo che si potesse fare qualcosa di diverso che ascoltarla. Non pensavo che si potesse farla, che si potesse esserla: non pensavo che si potessero cantare le infinite canzoni di infiniti autori di infiniti generi… non pensavo che si potesse impunemente urlare più forte che si può (con gli occhi che ti escono dalle orbite, e va bene così, perchè il pezzo è così nell’originale!!!), che si potesse saltare cantando, che ci si potesse agitare, ridere, sudare, incazzarsi, sussurrare, fare gesti con le mani e dire cose strane in tutte le lingue europee e non solo… e in più che fosse possibile farlo con altri amici, che anzi tutti gli amici di quegli anni in sostanza facevano quello: suonavano. Tutti in quegli anni amavano l’arte, l’esperienza diretta dell’arte, e Ivano era un punto di riferimento perché l’arte la possedeva davvero, gli circolava nel sangue, nell’intelligenza, nelle mani. Nonostante fosse tra i più misurati, conosceva benissimo gli abissi e le vette della musica, faceva dialogare la propria vita con quella degli artisti che amava e di tanto in tanto si metteva a cercare una mediazione tra l’ideale – di cui si nutriva non appena scoccava una nota – e il non ideale – che pativa ogni volta che suonava la sveglia mattutina. Mi rivolgo agli amici che hanno suonato con lui: quante canzoni ha suonato Ivo, quanto le ha amate, a quanto le ha capite. Una per una, artista per artista. Ogni giorno, ogni anno. Pensate a tutte le volte in cui le sue dita si sono irrigidite per premere le corde sui tasti, al suono dell’accordo che si diffonde nella stanza e alla trasformazione che avviene nelle persone che lo sentono, e in lui che canta con gli occhi chiusi, ad esempio suonando una canzone romana, o In su monte’e Gonare di Maria Carta, o Pink Turns To Blue degli Hüsker Dü… pensate ai fiumi di emozioni che ha sentito durante tutta la sua vita, anche quando era solo. Tutti quelli che hanno suonato in una band a vent’anni sanno benissimo cosa intendo.

Ricordo quando cercava un cantante e mi ha chiesto di provare One Chord Wonders degli Adverts (a quell’epoca ascoltavo Madonna, Prince, Battiato e A.I.C.): me l’ha suonata con la classica nella mansarda al primo piano della casa dei suoi. L’ho cantata e gli è piaciuta: così sono nati gli Wonders! E in questo modo siamo andati avanti per un bel pezzo: tutto dal vivo, tutto in presa diretta, lui che mi suonava i pezzi da fare e io che li imparavo cantandoli con lui, senza sentire l’originale. Troppo bello. Difficile da spiegare. A quell’epoca per me la musica era Ivano. Ci si vedeva e si cantava, si suonava, subito, via, così, pronti. Era tutto musica. Tutto dal vivo, in sala prove, in auto, sul palco… Tutto al volo, tutto dal vivo, così come si era, doveva andare bene la prima. Come out and play. Come as you are. Cantare vicino a lui, cantare con lui, mi faceva sentire di essere nel posto giusto, che non c’era un posto migliore dove stare. Davvero non volevo di più. Non mi interessava niente. E di sera… semplicemente di sera si usciva e non si tornava più. Alle 2:00 si partiva da Usmate per andare al Bulk a Milano. Vicino a Ivo ho vissuto la vita più incredibile che potessi desiderare. E mentre scrivo mi rendo conto che è vero perché già allora, mentre la stavamo vivendo, noi amici ricordavamo la nostra vita, tutti insieme, ci rendevamo perfettamente conto che quello che stava succedendo era… davvero non trovo la parola giusta, ma un neologismo che fondesse “eccezionale” con “vietato, illegale” si avvicinerebbe a ciò che intendo. Già allora ci toccavamo il viso come per dire “è vero o sto sognando?”. Ivo. Ivano. Ivan Zega. Ivano Carlo.Vlad l’empaleur près des haies. Nirvano. Ivàn Borìlovic. Ivanello.

Ai tempi degli Wonders, ricordo di un inverno, avevamo un concerto nella bergamasca. Partiamo dopo pranzo con una carovana di auto stracariche di amplificatori, aste, strumenti, bottiglie di acqua Panna riempite di vino rosso, con Marco Zampieri, Edo, Ivo e forse anche Andrea, non ricordo… possibile che ci fosse anche Franz’O? Il fatto è che si è messo a nevicare di brutto e in pochi minuti si è formata una colonna di auto impressionante sulla provinciale che portava a Trezzo (non sono sicurissimo dei riferimenti spaziali, ma la zona è quella. Di certo non eravamo in Tunisia). La neve copriva tutto. Tutto bloccato. Le auto erano ferme, c’erano teste fuori dai finestrini che spiavano in avanti la lunghezza della coda, poi persone fuori dalle auto in strada a chiaccherare: il nostro concerto – che ci sembrava l’evento più importante di tutto il sistema solare – rischiava di non avere luogo. Cominciammo a telefonarci con sempre maggiore difficoltà. Del resto avevamo anche poco da dirci: le auto della carovana si erano perse nel traffico, ma la neve era ovunque ed eravamo tutti fermi. Ricordo che montammo le catene sulla panda di Zampieri. Dal panico passammo presto al delirio liberatorio: “i cellulari non funzionano!” fu il refrain che cominciammo a ripetere imitando Ivo che sclerava perchè appunto tra malintesi e oggettive difficoltà di comunicazione non capivamo più un ostis di quello che stava succedendo: si era sparsa la voce che il proprietario del famossisimo ristorante dove avremmo dovuto suonare aveva annullato il concerto, ma non si capiva con chi di noi avesse parlato. Sui vecchi Nokia non c’era campo. Ma non ce ne importava nulla. Avevamo l’acqua Panna e l’autoradio. Mi sembra che nel giro di quattro ore riuscimmo a percorrere i venti chilometri che ci separavano dal famossisimo ristorante, in modo che il proprietario potè confermarci di persona quello che ci aveva già anticipato nelle disturbatissime telefonate: niente concerto, niente soldi, se volete vi offro una birra. Ricordo che mentre parlavo seriamente con lui qualcuno del gruppo – non so se Ivo o Marco – mi ha centrato con un’enorme palla di neve nell’orecchio.

Una volta Ivo mi ha chiesto di andarlo a trovare in ufficio ad Agrate, al centro Colleoni. Era un sabato pomeriggio e doveva finire dei lavori sui satelliti al pc. Non c’era nessuno dei colleghi. Sono arrivato e mi ha accolto a piedi nudi. C’era il parquet. Mi ha mostrato il server, poi un trenino di satelliti sul monitor del pc. Poi ha ricevuto una telefonata da Boulder, Colorado, e si è messo tranquillamente a parlare. Così dopo un po’ ho cominciato a fargli segno che dovevo andare e lui a farmi segno con il braccio di aspettare, di restare, ma continuava la telefonata. Altri dieci minuti e gli faccio segno che devo andare e lui mentre continua a parlare con Boulder mi fa segno di no, di restare. Io muovo le mani a cerchio indicando il grande ufficio vuoto come a dire “ok, ma che cazzo faccio qui?” e lui senza rispondere continua a guardarmi e a parlare in inglese. Mi fa segno di aspettare perché è concentrato su quello che gli stanno dicendo, e fa una faccia che significa “questa telefonata può andare avanti anche un’ora, quindi mettiti comodo”. Poi siamo andati fuori a cena insieme. Nella vita con Ivano l’americano ci sono stati aspetti divertenti alla John Fante (originario di Boulder, Colorado), ma anche aspetti lunari… alla Borroughs. Intendiamoci: per tanti anni il suo libro è stato Costretti a sanguinare di Marco Philopat, uscito nel 1997 per Shake edizioni. Romanzo-del-punk-italiano-1977-1984-scritto-senza-punteggiatura-solo-trattini-tra-una-parola-e-l’altra. Roba da chiodi: veri sdrumi nel buio dei locali. Di notte ci si muoveva come kenyoti con la Rift Valley nel cuore, lui quella dell’Afar, io quella del lago Turkana: le nostre milze producevano troppa mέlas-kolή, il sangue era troppo denso, andava sciolto con la sostanza più sottile e flammifera presente in natura: كحول. Luz, calor, color y sol: eter luminico y reflector. Silos, Bulk, Conchetta, C.S.O. vari… nel punk non c’è sporco che non possa essere integrato e fatto diventare elettricità… Con Ivo ci fomentavamo con frasi tipo quella di Camaron de la Isla a un giornalista argentino (cito a memoria): “Sono analfabeta, ho solo la musica, non ho fatto altro che cantare da quando ho dieci anni. Flamenco significa morire ogni giorno e risorgere ogni notte.” Ivo non era un angelo, nessuno di noi lo è, ma è stato un lupo bianco in mezzo ai lupi grigi del punk. E nessuno dei lupi grigi è un lupo bianco. Quando penso a Ivo penso al fatto che la musica è invisibile e lui ha passato la vita a sentire questa cosa invisibile, a riprodurla, a farsi abitare da lei, a ricordarla, a sentirla nella memoria. Di lui ricordo l’attenzione durante le prove a che il pezzo arrivasse ad avere tiro. Era davvero una cosa decisiva, occorreva ripetere il brano molte volte, fino ad assorbirlo, fino a conoscerlo così bene da poterlo eseguire sentendo al contempo come lo stanno facendo gli altri membri del gruppo, per creare così quel dialogo interno tra musicisti, quella spinta reciproca, quella felicità di esecuzione che fanno letteralmente volare brani altrimenti cervellotici come I Against I dei Bad Brains o Not A Great Man dei Gang Of Four… l’orecchio di Ivo cercava di arrivare all’ultima goccia della titolazione, quando il colore dell’indicatore scompare e rimane solo la musica invisibile: ciò accade quando un pezzo ha tiro, è forte e leggero, trasparente e va da solo… Di lui ricordo quando faceva gli armonici col polpastrello del medio (anche con la seconda falange) o quando chiudeva il galoppo di un pezzo come I Love Livin’ In The City dei Fear con il gesto di ruotare il busto slanciando in avanti il manico della chitarra. Ricordo di quando in sala prove al Silos mi colpiva con le meccaniche sul gomito destro (a volte cantavo a occhi chiusi e saltellando gli andavo addosso e a volte lui suonava chino in avanti e si spostava di lato senza rendersene conto). Mentre scrivo di lui continuano a venirmi in mente dei ralenti: Anthony Kiedis in Under The Bridge, quando corre verso la camera da 03:15; scene del video di Ocean dei P.J. (i tuffi a 00:09 e l’immersione nella scanalatura di roccia a 01:45. Ho rivisto i video. Meglio che mi fermo perchè sennò divento scemo dalla nostalgia).

L’anno scorso ho fatto tre ore di daimoku, poi sono andato a fare una passeggiata al fiume. Ho visto uno stormo di uccelli che si spostava su un grande campo appena arato. Ho mandato il minuto di filmato a Ivo dicendogli che mi piaceva il modo in cui quel nugolo di uccelli si muoveva, sembravano fiamme, spire di serpente o venature d’acqua di ruscello. Lui mi ha scritto che c’è un uccello pilota, seguito da una coppia di altri uccelli, ognuno dei quali è seguito da una triade di uccelli, ognuno dei quali è seguito da una coppia, ognuno dei quali è seguito da una triade e così via… 1-2-3-2-3-2-3… questo dà l’effetto di movimento consecutivo, come se fossero un solo corpo. Stefano è un’altra testa come Ivo. Due purosangue. Ivo era seguito da una nuvola di oggetti: l’auto piena, la casa piena, mille interessi, mille oggetti… Come un personaggio di Myiazaki, lo immagino camminare dalla cucina alla sala seguito da piatti, coltelli, bicchieri, scarpe, salini, pacchetti di sigarette, camicie, torce, libri… tutti sospesi dietro di lui. Quando cammina lo seguono. Quando si ferma si fermano, e fluttuano dietro di lui, in attesa che riprenda a camminare.

Negli ultimi anni i ricordi più belli che ho di Ivo sono quelli di quando eravamo con Matteo Conti. Certo, quando abbiamo suonato negli Zed Negative, ma anche nella classe A+ di Matteo a Lomagna, con Gianluca in pantaloni di seta e Flavio di ritorno dal sudamerica. Una volta stavamo davanti al pc a guardare la registrazione di un live e Ivo mi ha detto: «Guarda, guarda gli Zed Negative, li ho fatti io!!!». Era incazzato e orgoglioso. Era vero, li aveva fatti lui: la scelta dei brani, il rigore dello studio durante le prove, il carisma della sua chitarra. Ricordo benissimo quando un sabato stavamo andando da Stefano in Piemonte (=Guatemala) e in auto Ivo ha messo Final Solution dei Pere Ubu… il pezzo mi è piaciuto tantissimo. Mi ha chiesto diffidente se sarei riuscito a cantarlo. La mia risposta fu automatica e sprezzante: nes-sun-pro-ble-ma. La chitarra di quel pezzo è semplicemente meravigliosa e fatta da Ivo ra… ricordo benissimo che ero contento di andare alle prove solo perchè sapevo che avrei sentito Ivo fare Final Solution. Inoltre il basso dell’intro era decisivo: il tiro dell’intero pezzo sarebbe stato deciso dalle prime quattro pennate di Teo. Ivano pretendeva un solo e unico precisissimo tempo: si trattava di un tempo perfetto, che avrebbe reso l’intero brano semplice e maestoso, enorme eppure leggero, una base di piramide azteca dal cui apice sarebbero esplosi i fuochi artificiali della sua chitarra nel luogo più buio della notte messicana, insieme agli infiniti lanci di batteria di Gabry… Ricordo di come Teo prima di dare inizio al pezzo dissimulasse la tensione fingendo tranquillità dietro il barbone, evitando lo sguardo di Ivo per poi sbirciarlo, Ivo che a sua volta cercava di non mettere in imbarazzo nessuno – sapendo di avere la fama di Torquemada della sala prove – guardando a sua volta la pedaliera della chitarra (a volte premendo su pedali scollegati). Poi Teo partiva, improvvisamente. Le pennate morbide e profonde del basso di Teo riverberavano in completa solitudine nel silenzio della sala prove. Io da dietro al microfono guardavo Ivo per capire se il tempo andava bene. In questo momento ricordo il suo viso di profilo, la testa leggermente inclinata in avanti, lo sguardo attento sul basso di Teo e le labbra serrate. Bastavano due secondi: se il tempo non era corretto Ivo avrebbe interrotto l’esecuzione e saremmo tranquillamente ripartititi daccapo (dopo una salva di bestemmie, mugugni e accuse reciproche a scaricabarile). Se invece guardava Gabry significava che il tempo del basso era ok e poteva entrare la batteria: la festa poteva cominciare, avremmovissuto insieme Final Solution – l’avremmo fatta meglio dei Pere Ubu! – e io per cinque minuti sarei stato David Thomas… Insomma si creava un’atmosfera incredibile… e a Ivano piaceva tantissimo proprio quella particolare atmosfera. Mamma mia, stupendo, stupendo, stupendo, stupendo… Dopo le prove non me ne fregava nulla della musica da “ascoltare”, e dopo il primo concerto da venti pezzi alla Loco, quando eravamo tutti completamente fradici di sudore, Ivo era felice, con me e Teo e Gabry, roba da piangere. Ricordo i suoi abbracci da orso, la sua enorme schiena zuppa di sudore dopo due ore di riff e assoli. Gli Zed Negative si sono formati così, credo nel 2014: io cercavo da mesi di convincere Ivo a tornare a suonare con me, Teo come bassista c’era. Mancava il batterista e Ivo aveva quel suo atteggiamento “attendista” del tipo: se il batterista me lo paracadutano sul balcone bene, altrimenti, scordati il gruppo. Ok, un pomeriggio io e Teo siamo alla Decathlon a comprare le palline da tennis, sentiamo Ivano e andiamo a Lomagna per un aperitivo al Pure Bar (sì, è il vero nome del bar…). Lì chi c’è? Un batterista fatto e finito. Pronto, libero e simpatico: Gabry, che Teo conosce. Ivano è costretto a cedere: nascono gli Zed Negative. Con Teo e Gabry Ivano stava davvero bene. Teo faceva il tractòr, il collante. Passava le ore ad ascoltare gli sfoghi reciproci, mediava. E il gruppo andava avanti. A casa di Teo Ivano stava da dio. La classe A+ di Teo era aperta fino a tarda notte. L repliche di QSVS alla tv o qualche film col decoder georgiano craccato. I codici. Ivo stava al tavolo alto della cucina e svapava con Teo che intanto montava le resistenze nuove. A volte Ivo suonava qualcosa. Una volta sono entrato e lui mi ha suonato subito No Excuses degli A.I.C. e l’abbiamo fatta tutta. Altre volte ha suonato Heaven Beside You. Matteo mi ha detto che una volta da lui ha suonato Nutshell [A proposito di Nutshell… il titolo verrà da “Hamlet, II, ii” – I could be bounded in a nutshell, and count myself a king of infinite space, were it not that I have bad dreams – o dallo slang di “in few words”? (Cfr. lyrics, difficile da credere, ma leggendo il penultimo verso prima dei vocalizzi del chorus sembra proprio che La.St. abbia letto Shakespeare)]. Ivano voleva molto bene a Teo, per il suo carattere schietto, per la sua generosità, per il modo greve di scherzare, per le sue fiammate di rabbia. Con Gabry siamo stati davvero bene. A volte Ivo imitava la risata satanica di Teo, o la sua voce alla Ligabue e rideva, rideva per i p******o, per le trame sempre aperte in chatteria, per le insicurezze mascherate, per gli scleri sul lavoro e a casa. Davvero, Ivo e Teo sono stati favolosi insieme. Ricordo di un pomeriggio al bar Aurora di Lomagna. Credo fosse la primavera del 2018. Io e Lori eravamo a un tavolino fuori, c’era un bel sole caldo (come piace a noi custodi del polifenolo di Ersparmer). Tanto per non perdere tempo stavamo parlando di una meditazione tibetana sulla morte. Poi mi ha chiamato Ivo e dopo pochi minuti è arrivato insieme a Teo, Flavio e Gianluca… erano a casa di Teo a suonare, credo. Troppo bello essere lì tutti insieme. Anche a lui era piaciuto tanto.

Negli ultimi mesi andavo da Ivano al cinema. Mi sembrava casa mia perché c’era lui. Entravo, salivo con la scala mobile fino al floor e allungavo il collo in mezzo alla folla per vedere dov’era. Spesso aveva la camicia bianca e i pantaloni scuri, il cicalino infilato nella cintura. Lo ricordo al bancone, mentre sfila dietro ai colleghi alla cassa e scambia con loro qualche rapida parola. Risponde al telefono, dice qualcosa con la faccia di chi l’ha già detta dieci volte, quindi sbatte le palpebre guardando tra le persone, e fa quei suoi nervosi passetti sul posto. Tiene la bocca socchiusa ascoltando la risposta. Poi i nostri sguardi si incrociano, sorride, e mi indica con la mano aperta, il palmo verso l’alto. Mi viene incontro con ancora il cordless all’orecchio, mi passa il braccio intorno alle spalle e mi stringe forte continuando a camminare al centro del floor. Con un cenno della testa mi indica il monitor con i titoli dei film. No, non sono venuto per vedere un film. Quando chiude la telefonata camminiamo ancora abbracciati.

Mentre scrivo sono passati sei mesi dalla morte di Ivo. L’estate del 2020 è finita e il mondo intero ha ancora il fiato sospeso per i possibili sviluppi della pandemia. Tutto il mondo è attento. Almeno così lo percepisco io. Si attende la seconda ondata. Ognuno è preoccupato per sé, per i propri famigliari, per l’economia del Paese, per i propri bambini. Anch’io sono preso. Non credo di essermi ancora reso del tutto conto di cosa è successo a Ivo. Da due anni e mezzo sono membro dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai per la Pace e la Cultura. La pratica buddista – la recitazione del Daimoku Nam-myoho-renge-kyo – mira a creare armonia tra le persone, amicizia, anche con i nostri morti. Che questo libro, questa raccolta di affettuosi ricordi che gli amici hanno avuto il grande coraggio di donare, possa far sentire a Ivano quanto continuiamo a volergli bene. Che la nostra stima per lui non finirà, che la nostra riconoscenza per lui non finirà, che ci dispiace tantissimo non averlo potuto aiutare e non averlo più con noi. Perché sei stato una persona eccezionale ed è assurdo che tu non ci sia più. Per usare un’immagine, questo libro è per me qualcosa di simile ad essere con lui nella sua stanza di ospedale, tutti insieme a lui. Massimo

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Ivano : True Memories, primi racconti

A IVANO PIACEVANO I PARTICOLARI (PT 2)

di MARCO ZAMPIERI

A Ivano piacevano i Pink Floyd. Del resto a tutti lì, al Villaggio dei Pini, piacevano i Pink Floyd. A Ivano piacevano soprattutto quelli di Waters e, ancora di più, quelli di Barrett. Come a tutti lì, al Villaggio dei Pini. Però non glieli ho mai sentiti suonare. Ne l’ho mai visto ascoltarli. Non ne parlava mai. Solo una volta, ad una sagra, credo a Casatenovo, mentre una cover band li suonava, lui alla prima nota della prima canzone aveva riconosciuto titolo, album, anno di uscita, testo e annessi e connessi: “io dei Pink Floyd so tutto, li conosco profondamente!”

A Ivano piacevano i Beatles. Ne parlava tantissimo: della genialità di alcuni passaggi, delle particolarità di molte canzoni.

“Facciamo un pezzo dei Beatles?” gli proposi.

“I Beatles?! Noooo, farli bene è troppo difficile!”

Spesso durante le prove accennava l’attacco di Helter Skelter. A volte gli andavo dietro e un giorno… magia… la suonammo tutta e lui la cantò. Solo quella volta. Disse “l’heavy metal è cominciato qui!”.

Con gli Shine andammo avanti per un po’. Poi un giorno Ivano ci disse: “ci vuole un cantante, proviamo Francesco!”.

Così andammo a Monza con l’autobus e facemmo con Portinari (che era emozionatissimo) una sessione di prove. Suonammo quasi solo canzoni dei Nirvana.

Per Francesco era il primo approccio con un microfono e la tremarella gli faceva brutti scherzi. Non riusciva mai ad azzeccare gli attacchi che immancabilmente o anticipava o aspettava gli piovessero dal cielo. Ivano pazientemente (ma non troppo) gli spiegava come fare finché Francesco trovò una strategia efficace (sevi capita di vederlo cantare, vi accorgerete che fa così anche oggi): tiene il tempo con il piede sinistro e quando deve iniziare a cantare (l’attacco appunto) da un colpo secco in avanti con la testa.

Il giorno dopo a scuola gasatissimo Francesco mi dice: “ho trovato il nome della band, ci chiameremo Gli Eva, come la prima ribelle della storia… e poi Eva è un nome corto e quando si fanno i manifesti, si può scrivere più in grande!”.

Era deciso. Si suonava punk (in stile ’77 però!) e si cantava in italiano. Nessuno di noi sapeva minimamente cosa fosse il punk. Nessuno tranne Ivano che spiegò: “batteria dritta e veloce in quattro quarti, tipo così tun-ta tun-ta tun-ta tuttun-tà. Canzoni corte. Giri di chitarra semplici, ripetitivi… e un inciso. In ogni canzone deve esserci un inciso. Francesco, quando scrivi i testi, devi pensare le cose più scandalose che puoi e ovviamente, devi parlare di lamette, di violenza, di rabbia, di energia…” Così francesco partorì versi indimenticabili come:

…prendi il coltello con la lama a rasoio

impicca la nonna col nodo scorsoio!

Non passava molto e Stefanino perde l’entusiasmo, salta diverse prove, decidiamo di parlarci.

Non ha più molta voglia di suonare e la sua avventura con gli Eva termina qui.

Stefano rimane per Ivano un grande amico. Insieme faranno tantissime cose. Con Francesco nel 1998 realizzano un bellissimo cortometraggio dal titolo “Memorie” (https://www.youtube.com/watch?v=nUkjhdlT3Hs). E alcuni anni dopo andranno a vivere insieme a Monte di Brianza con anche Mimmo e Lorenza. Ma di questo non posso essere io a raccontare.

Da lì a poco avremmo dovuto suonare ad un concerto, in mezzo a un campo, vicino a un bosco: “Walden” è il nome della manifestazione, con un chiarissimo riferimento a Skinner.

Senza bassista come si fa? Ci pensa Ivano! Chiede a suo fratello Paul.

Paul è decisamente più grande ed esperto di noi. Per intenderci, lui all’epoca suonava con Charlie Hill (al secolo Dario Canossi) e Carlo Ravot (che era il mio insegnante di batteria) ed erano reduci da non molto da una tournée in Russia dove avevano avuto un grande successo. Paul avrebbe suonato con noi, io ero emozionatissimo.

Di quel concerto mi ricordo che il palco, se c’era, era rasoterra, non c’erano spie per potersi sentire e dietro di me c’era il generatore di corrente che rombava a 400 megadecibel per poterci dare l’energia necessaria per alimentare l’amplificazione.

Dopo i primi dieci secondi di concerto capii che era inutile cercare di cogliere qualsiasi minima apparenza di suono dagli strumenti dei miei compagni. Non sentivo nulla. Solo l’assordante frastuono del generatore. Era una battaglia tra me e lui. Decisi di suonare a memoria e pensai “gli altri mi verranno dietro! Speriamo che Ivano non decida di improvvisare qualcosa”.

Filò tutto liscio e ricevetti i complimenti da Paul per essermela cavata in quella situazione difficile. È uno dei miei ricordi più cari.

Agli Eva serve un bassista. Arriva quasi subito, per caso. Facciamo una sola selezione a casa di Ivano. Il primo piano della villa dei genitori di Ivano è praticamente una elegante soffitta tutta a sua disposizione. Quello spazio è usato spesso per stare insieme, guardare film, parlare. Qui incontrammo il primo ed unico candidato, un virtuoso bassista sudamericano, che ci scartò perché troppo scarsi.

Poi succede che a una festa privata, non ricordo assolutamente dove, gli Eva si ritrovano con degli strumenti in mano e improvvisano qualcosa. Come per magia un tipo strano ad un certo punto suona il basso con noi. Si tratta di un ragazzo pallido con un testone enorme. Ha un lieve accento napoletano, un bellissimo sorriso e mentre parla ogni tanto fa delle smorfie strizzando gli occhi. Descritto così sembra una specie di mostro, ma non è così. Franzo era (ed è) un gran figo! Ricordo che dopo un concerto al Bloom di Mezzago, stava con una ragazza che lo corteggiava. Mentre mi avvicino ai due, vedo che lui alza il braccio e lei gli annusa l’ascella. Dopodiché la tipa esclama “sei la prima persona che conosco che suda ma non puzza! Anzi, profumi!”. Franzo era bagnato di sudore dalla testa ai piedi e ricordo benissimo il suo odore: puzzava di birra, di birra e sudore!

E così trovammo un nuovo bassista per gli Eva e un nuovo amico.

Franzo aveva i nostri stessi gusti musicali e come noi durante le prove, amava perdersi in lunghe improvvisazioni psichedeliche, ipnotiche, che ci portavano in una specie di trans…

Ivano e Franzo sono le due persone in assoluto con cui mi è piaciuto suonare. Anni dopo, quando Andrea (sassofonista) entrò negli Wonders, mi disse (riferendosi a loro due): “ma tu ti rendi conto con chi stai suonando?!?”. Entrambi avevano un orecchio formidabile. Sapevano ascoltare prima ancora di saper suonare.

Quando Ivano è morto Simona (una amica di scuola) ha commentato su Facebook: Pazzoide, incontrollabile, ridente e triste. Ce le avevi tutte, Ivano. Spero di rivederti da qualche parte”.

È una sintesi perfetta. Ridente e triste. Anche Franzo è così. Per dirla con Marguerite Yourcenar “Si può essere felici senza mai smettere di essere tristi”.

eva live at walden
Walden : Marco, Ivano, Francesco, Paul

FIRST STORY

di FRANCESCO PORTINARI

Il mio primo ricordo che ho di Ivano si rifà a quando avevamo circa 5 anni.

Eravamo all’asilo di Usmate, era l’ora del riposino pomeridiano.

Ho un’immagine molto chiara di lui ed io impegnati a far cercare di addormentare sua sorella Emily che piangeva disperatamente e non voleva dormire.

Ci conoscemmo li, in quel momento, 40 anni fà.

Adesso che sapete come e quando lo ho conosciuto, è più facile potervi spiegare come sia difficile per me poter scrivere un ricordo, una memoria o semplicemente un momento che rappresenti quanto Ivano faccia parte di ogni mio respiro.

Da quel lontano pomeriggio, io e Ivano siamo cresciuti insieme, e per “cresciuti” intendo in tutti i significati della parola. Abbiamo avuto la fortuna di abitare nella stessa Via, Via Villaggio dei Pini, a 500 metri uno dall’altro, in mezzo alla campagna.

Da quando Ivano se né andato, ogni sera, prima di potermi addormentare, devo essere in grado di ricordarmi un momento passato con lui, semplicemente perché non posso e non voglio dimenticarmi assolutamente niente di tutto ciò che abbiamo vissuto insieme.

La maggior parte di voi ha conosciuto Ivano quando era già un teenager, ribelle, amante della musica, e anche un bel figo che “cuccava di bestia”.

Ma in realtà, mettiamola cosi, da bambino Ivano era un nerd, o, come si diceva negli anni 80, un “secchione”… e io lo adoravo con tutta la mia anima.

Bene, ora sono pronto a raccontarvi una delle tantissime memorie che ho di Ivano.

Penso avessimo intorno agli 8 anni, era autunno e da bambino odiavo quei mesi: la scuola, i compiti, le giornate corte, la nebbia. L’unica cosa bella, era sapere che alcune ore del pomeriggio le avrei passate con Ivano.

Eravamo in camera sua, molto probabilmente annoiati dalla giornata uggiosa.

Ivano aveva nelle sue mani, come ogni giorno, il “Manuale delle Giovani Marmotte”, la nostra “bibbia”, il nostro riferimento per cosa fare durante i pomeriggi passati insieme.

Come abitudine, Ivano apriva il manuale sulla pagina che aveva letto la sera prima e mi spiegava cosa aveva imparato dalle Giovani Marmotte, per poi usarla come spunto per giocare quel pomeriggio. Poi noi ci aggiungevamo del nostro, ed era li che incominciava il divertimento, quando la nostra fantasia prendeva possesso della situazione.

Quel pomeriggio il manuale ci insegnò come costruire un Forte con le lenzuola, (o qualcosa di simile, che ci ha poi portato all’idea di fare un forte con le lenzuola).

Era perfetto per una giornata autunnale e piovosa in Brianza.

Come sempre Ivano doveva seguire il manuale per filo e per segno, in un modo logico e dettagliato, mentre io dovevo sempre aggiungere la “ciliegina” sulla torta, cercavo sempre di inventarmi qualcosa di un po’ più “pericoloso”.

Ma non illudetevi, anche se lui fosse sempre stato un po’ preoccupato nel rompere le regole, adorava le mie “ciliegine”. Diciamo così, io riuscivo a tirare fuori il diavoletto che c’era in lui.

Iniziammo a costruire il Forte basandosi sulle direzioni del manuale, ma dopo poco tempo realizzammo che il Forte era troppo piccolo per le nostre esigenze.

Mi ricordo che usammo anche le lenzuola di sua sorella Emily, ma per noi la dimensione non era ancora soddisfacente per le nostra fantasia.

Ed ecco che io ho avuto “l’idea pericolosa”.

Ivano era un po’ preoccupato ma molto eccitato allo stesso tempo.

Mi ricordo che gli dissi: < Ivanello, abbiamo bisogno di più lenzuola>

E lui mi rispose: <Si, ok, ma dove le prendiamo?>

Io <lenzuola matrimoniali…>

Ecco, dovete sapere che io e Ivano ci cacciavamo sempre nei guai, e la maggior parte delle volte, alla fine del pomeriggio, quando io ero già tornato a casa, mia mamma riceveva una telefonata dalla Velia, (la mamma di Ivano), che “spiegava” a mia madre cosa Francesco aveva fatto fare ad Ivano… e il castigo era nell’aria.

Sinceramente non mi ricordo se quel pomeriggio mi mamma ha ricevuto “la telefonata”.

Una volta finito il nostro forte ci siamo messi a giocare, immaginandoci che fossimo in una tenda nel deserto durante una tempesta di sabbia.

Mi ricordo che tutto sembrava reale grazie ai dettagli che Ivano aggiungeva, avendo letto qualche libro sulle tempeste di sabbia.

Dopo un po ci siamo stufati, e sempre all’interno del forte abbiamo cominciato a giocare con dei pupazzetti di Guerre Stellari, mentre ascoltavamo una canzone in ripetizione, cantando le parole a squarcia gola. La musica veniva riprodotta dal 45 giri “mangia dischi” di Ivano, di colore rosso. Un dettaglio che mi sono sempre ricordato.

Quella canzone non me la son mai scordata, anzi ne abbiamo parlato e scherzato io e lui negli ultimi periodi.

Prima che scrivessi questa storia, sono quasi impazzito a cercare di farmi tornare in mente il titolo o le parole, mi ricordavo solo che erano papà e figlio che cantavano insieme, e che il coro diceva “Io e te”.

Grazie a internet l’ho ritrovata… “Io e Te” di Jair Rodrigues e Jairzinho, (la potete trovare su YouTube).

Quando l’ho riascolta è stato come tornare indietro nel tempo.

Facendo caso alle parole mi sono reso conto di come in realtà, in quel giorno di autunno, sotto le lenzuola di Emily e dei genitori di Ivano, noi due bambini di 8 anni, cantavamo quelle parole a squarcia gola, senza renderci conto di quanto rappresentassero la nostra incredibile amicizia…

“Come é bello stare insieme noi

Quando ridi sei come me

Io e te, due gocce di pioggia

Io e te, granelli di spiaggia”

“Io e te, un tuffo nell’aria

Io e te, la neve e la paglia

Io e te, di corsa nel parco e giù

Vinci sempre tu, sempre solo tu

Io e te, il vento e la foglia

Io e te, giocare che voglia

Io e te, la barca e il mare blu

Tira su le vele

Ti voglio tanto bene”

Ivano : True Memories

L’8 aprile scorso Ivano è stato portato via dal covid. Rimane il suo ricordo, il ricordo che in centinaia di cuori continua a vivere ma che in questo momento di preoccupazione generale può sbiadire fino a scomparire senza che ce ne si accorga.

Per questo abbiamo pensato di raccogliere in un libro i preziosi ricordi delle persone che hanno conosciuto Ivano. Ricordi di vita con lui, che ognuno può scrivere e inviarci.

L’idea è quella di un libro a più voci, dove provare a ricomporre il mosaico della vita di Ivano attraverso le testimonianze dirette di tutti i suoi cari. Il ricordo di una serata, di un viaggio insieme, di una telefonata, di un concerto, di una cena, raccontato direttamente da chi l’ha vissuta con lui. Senza troppi filtri, come crediamo sarebbe piaciuto a Ivano.

Con “Ivano: true memories” abbiamo la possibilità di esprimere ciò che nel nostro cuore custodiamo di Ivano, ciò che le vicende di questi ultimi mesi non hanno aiutato a condividere e che rischia di essere portato via dalle tante preoccupazioni personali.

Ci rendiamo conto che non è cosa di tutti i giorni mettersi a scrivere un ricordo personale con l’idea che venga pubblicato, ma crediamo che mettere l’uno accanto all’altro tanti ricordi di Ivano sia un modo bellissimo di volergli ancora bene. In “Ivano: true memories” vogliamo raccogliere, mettere vicino e proteggere le voci delle persone a cui Ivano ha voluto davvero tantissimo bene, e che siamo certi vorrebbe ancora vicino a sé, tutti insieme. 
Mandaci il tuo ricordo scritto di un episodio di vita con Ivano (massimo 5 pagine) a una delle seguenti email entro il 31 ottobre 2020: 


emilyborile at gmail.com
mpcolombo77 at hotmail.com
paul.borile at gmail.com


E’ possibile segnalare la propria preferenza: gli scritti potranno essere pubblicati con il nome dell’autore per esteso o siglati con le iniziali.


Stiamo anche organizzando un archivio fotografico: se hai foto con Ivano che vuoi condividere puoi inviarcele.



Grazie di cuore a tutti
Massimo Emily Paul Fabio Lorenza